VII
Per una pratica efficace le chiavi sono regolarità e ripetizione. Molte delle cose necessarie per diventare un musicista si possono praticare senza lo strumento: il rilassamento, l’attenzione, una sensibilità pronta e un’attività intenzionale. La pratica per diventare un musicista è quasi la stessa di quella per diventare un essere umano. La ripetizione regolare e costante delle cose essenziali diventa essenzialmente ciò che siamo: progrediamo verso un’integrità. A dirlo suona bene, belle parole e facili a dirsi, ma quanto tempo ci vuole? Beh, anche se ci volesse un’eternità, che altro sto facendo della mia vita? E con un po’ di fortuna, un po’ di determinazione, i giusti insegnamenti, e usando l’intelligenza, dopo quattordici anni potrei avere raggiunto qualcosa di veramente mio. E dopo ventuno anni questo potrebbe essersi consolidato in me.
Quando cominciamo a costruire la nostra pratica, impariamo a fare le cose attraverso l’osservazione. Il principio di una pratica funzionale è questo: ogni parte fa il lavoro di quella parte, e nient’altro. Per scoprire le nostre abitudini la regola è questa: cambiare la velocità della nostra azione. Che sia più veloce o più lenta, ci scopriremo facilmente. È di grande aiuto stabilire dei punti di riferimento nell’esecuzione; per esempio, la competenza alle diverse velocità. Da qui possiamo controllare i nostri progressi. Scegliendo una piccola parte di ciò che suoniamo, arriviamo ad eseguire questa piccola parte in modo superbo. Questo si può fare impadronendosi di un particolare esercizio, rifiutando di accettare una carenza nella propria tecnica, sviluppando la coordinazione, o la divisione dell’attenzione. Ma qualunque cosa scegliamo, anche piccola, dobbiamo eseguirla superbamente. Questo porta qualità al nostro suonare, anche se una parte molto piccola di qualità. Poi, con la presenza della qualità, tutte le regole cambiano.
Chiunque pratichi con regolarità può parlare con chiunque altro pratichi con regolarità, entrambi si accostano al mestiere, e il mestiere è un linguaggio universale. Entrambi si occupano dell’uso oculato dello sforzo, della persistenza, delle contraddizioni, e sono al servizio di uno scopo. Quando la nostra pratica diventa un modo di vivere, dove stiamo andando è come ci arriviamo: non abbiamo nessun posto dove andare. Quindi, tanto vale essere qui. La nostra presenza è un indice della pratica.